Gli interventi del sindaco e del presidente della Provincia al teatro Valli
REGGIO EMILIA – Riportiamo, integrali, gli interventi al teatro Valli del sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi e del presidente della Provincia, Giammaria Manghi.
Il sindaco Luca Vecchi
“Cari ragazzi, un anno fa, proprio mentre chiudevamo le celebrazioni di questa giornata, iniziarono ad arrivare al mondo le tragiche e drammatiche notizie dell’attentato al Charlie Hebdo. Un anno dopo, siamo qui, con alle spalle, da poche settimane, il dramma del Bataclan, degli attentati di Parigi, la morte di tanti giovani barbaramente uccisi nell’assalto terroristico alla capitale francese.
Se volessimo ritrovare, tra i tanti, un significato attuale per quei tre colori, il verde, il bianco, il rosso, dovremmo ripensare alla spirito che animò quei giovani nel 1797, riuniti a Reggio Emilia nel congresso della Repubblica Cispadana per dotarsi di un governo e scegliere il tricolore quale simbolo di un ideale alto di libertà ed eguaglianza, l’esatto contrario di una società fondata sulla paura, sulla negazione del pluralismo culturale e religioso, dove il richiamo improprio ad una ispirazione religiosa diventa fondamento di una concezione distruttiva dell’uomo.
Come ebbe a dire Carlo Azeglio Ciampi qui a Reggio Emilia in occasione delle celebrazioni, “il Tricolore è il simbolo moderno di un popolo antico, ricco di cultura, di tradizioni e di nobiltà d’animo, ma anche sofferente per secoli per la mancanza di una insegna che lo unisse, che rappresentasse la volontà di un destino comune”. Il contesto storico del 1797 è figlio di una storia profonda e travagliata dell’intero paese, ma c’è un filo che segna la vicenda di questo paese dalla fine del Medioevo all’epoca rinascimentale, dal risorgimento fino alla grande esperienza della resistenza e che assume la sua centralità almeno a partire dall’epoca dei comuni: il ruolo delle città.
Le città sono nel nostro Paese luoghi identitari, luoghi della memoria e del futuro, le cui comunità hanno costruito incessantemente la civiltà italiana, ma certo anche quella europea. “Una città, come scriveva Italo Calvino non è fatta unicamente di luoghi fisici, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato …. una città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano …”. Le città devono poter riappropriarsi completamente del loro protagonismo storico, per poter essere tutte insieme alimento di innovazione e crescita della comunità nazionale ed europea.
Non è un caso che la vicenda del 1797 ebbe luogo proprio qui in questa parte del paese che è l’Emilia, spazio di passaggio e di incontro nel suo essere come una grande via, d’acqua e di terra, dalle Alpi al mare dal Nord al Tirreno. L’Emilia ha saputo nel tempo plasmare il suo carattere di luogo dinamico ma coesistente con una concreta solidità valoriale. E’ qui che l’esperienza del Risorgimento prima e della Resistenza poi, trova tra i baluardi degli appennini e le terre di pianure una delle espressioni più vive e meritorie della nostra storia democratica di cittadini e di persone.
E’ qui che il contributo costituente alla carta costituzionale porta il merito di tre grandi reggiani, Giuseppe Dossetti e Meuccio Ruini, e una donna, poi Presidente della Camera dei Deputati come Nilde Iotti. Se oggi l’Emilia è una delle terre più avanzate d’Europa lo deve a donne e uomini laboriosi, animati dalle migliori virtù civili, che hanno nell’identità collettiva, nel loro archetipo storico, il senso di appartenenza ad una comunità e che nel tempo, anche dopo grandi tragedie come il terremoto del 2012, ha saputo essere sempre terra di fiducia e di speranza per tutti gli italiani.
Le sfide contemporanee non sono per tanti versi meno impegnative di quelle di un tempo. La condizione economica del paese, la difficoltà a contenere l’espansione delle diseguaglianze, la frenata della mobilità sociale, i grandi temi del clima, della sicurezza, delle imponenti migrazioni che hanno cambiato la configurazione culturale e socio demografica delle nostre città. Quel modello virtuoso, collaborativo e solidale tra città e comunità, che portò al 1797 deve riproporsi con intelligenza e pragmatismo per rispondere ai bisogni del presente e alla necessità di futuro, perché l’Emilia che ha saputo essere culla della civiltà democratica contemporanea del nostro paese possa candidarsi ad essere motore di un sistema economico e sociale virtuoso per l’intero paese, generatore di opportunità e di eguaglianza.
E’ in questo contesto che le città emiliane, tutte, devono misurare e sintetizzare le proprie azioni e le proprie strategie di territorio vasto, comprendere che le ragioni del campanile devono far spazio ad un agire comune sui grandi temi del nostro tempo, condizione base, questa, perché questo territorio vasto possa continuare a dispiegare il meglio delle proprie potenzialità. Il 2015 per Reggio è stato l’anno in cui iniziare a mettersi alle spalle la parola crisi, evocativa e concretamente rappresentativa di una fatica e di una sofferenza economica e sociale che dal 2008 ha lasciato anche qui i suoi segni.
I dati tangibili di una ripresa economica che proietta il PIL della città al 2%, che intravede crescita dell’occupazione, dei consumi e dei risparmi, sono dati oggettivi di una luce che inizia a riapparire dopo anni difficili. Ma non di meno restano difficoltà che traggono la loro evidenza nella transizione rapida di un sistema economico e produttivo che a fronte delle performance della meccanica avanzata e dell’agroalimentare, nell’espansione del sistema del servizi, trova tuttavia il suo doloroso e talvolta tragico contraltare nel declino, se non addirittura nella chiusura, di importanti comparti produttivi della manifattura tradizionale.
Quando lavoriamo per rigenerare aree industriali dismesse lo facciamo per accompagnare la transizione verso un modello economico incentrato sulla conoscenza e sulla innovazione. Quando proviamo a rigenerare quartieri, contrastando il degrado e portando più sicurezza e senso di comunità, lo facciamo convinti di un lavoro quotidiano nella cura della città e nella cura della comunità. Quando investiamo sui luoghi della cultura e del sapere, sul potenziamento infrastrutturale, o quando cerchiamo via inesplorate e innovative nel governo dei beni comuni lo facciamo e continueremo a farlo animati da un principio base: fare insieme. Fare insieme tra pubblico e privato come ha scritto recentemente Marianna Mazzuccato, tra il privato come soggetto e il pubblico come comunità, superando una fuorviante antinomia e ritrovando nel “fare insieme” le ragioni comuni per immaginare e progettare il futuro.
Il mappamondo e il trattore di Papà Cervi restano plasticamente il paradigma di un modo di essere. Quel mappamondo evocativo di cultura, di conoscenza, di proiezione internazionale, quel trattore simbolo inequivocabile della civiltà del lavoro, dei diritti e dei bisogni di emancipazione dei più deboli, della solidità di un sistema di valori e di un modo di essere cittadini di una comunità. Abbiamo alle spalle un anno e più in generale un periodo difficile per l’Europa. L’Europa che per lungo tempo ha saputo essere il teatro della “quadratura del cerchio” il luogo al mondo in cui libertà politica, benessere economico e coesione sociale hanno saputo trovare la loro elaborazione più avanzata.
L’Europa non può diventare oggi “nemica” degli europei. L’Europa dei popoli e non dei banchieri deve trovare strade nuove per affrontare i tre grandi temi che ne minano la sua solidità: una situazione economica che da troppo tempo ha smesso di essere generatrice di opportunità per le giovani generazioni e motore effettivo di mobilità sociale per i ceti sociali più deboli; i grandi flussi migratori che sfidano il continente sul piano etico e politico nella sua reale capacità di tenere insieme il pieno riconoscimento della dignità umana e la sicurezza delle nostre comunità; l’azione del terrorismo di fondamento islamico che non a caso individua principalmente nel Vecchio continente nel suo sistema di valori, nel suo stile di vita, il teatro principale per la propria distruttiva azione.
John Dewey, noto filosofo americano, disse che la democrazia, più ancora che ogni altro ordine politico e sociale è definito come memoria del passato, come coscienza del presente, come ideale del futuro. La democrazia più ancora che un ordine politico si configura come ideale etico con al centro la dignità della persona e lo sviluppo della sua personalità. La libertà, l’eguaglianza e la fraternità sono i simboli del più alto ideale etico che l’umanità abbia mai raggiunto.
La debolezza dell’Europa altro non è che la crisi del rapporto tra cittadini e politica con il rischio che un pericoloso cortocircuito possa minare in modo irreparabile la forza e l’autorevolezza delle istituzioni repubblicane come punti di riferimento entro cui dare quotidiana concretezza ai diritti delle persone che sono il cuore del nostro stare insieme e garanzia della qualità e della civiltà della pacifica convivenza democratica.
La rigenerazione di questo rapporto virtuoso è in fondo la sfida principale da vincere del pensiero democratico contemporaneo quale condizione per un agire credibile e autorevole delle stesse istituzioni pubbliche. La concretezza delle istituzioni nel loro agire quotidiano, unitamente ad alcune grandi virtù civili che Sandro Pertini vedeva nella coerenza e nella sincerità di chi ogni giorno è chiamato a rappresentare le istituzioni e la loro credibilità. Coerenza, scriveva Pertini, “è ciò che si è e non ciò che si è deciso di essere”.
L’Italia può farcela. Può lasciarsi alle spalle un periodo difficile e ritrovare le ragioni della propria rinascita. Il 2015, pur con tutte le sue difficoltà, è stato l’anno di Expo, l’anno in cui l’Italia ha saputo mettere in campo un proprio riscatto di credibilità internazionale. E’ l’anno di Samantha Cristoforetti e di Fabiola Gianotti simboli positivi ed eccezionali di un paese che dalle sue inesauribili risorse troverà la forza di ripartire. Ma è stato anche l’anno del completamento di alcune importanti riforme, del Governo e della Regione, nel mercato del lavoro, nella scuola, nella pubblica amministrazione, l’anno in cui l’economia ha ripreso un suo ritmo avviandosi al superamento degli anni inesorabili della caduta dell’occupazione e della recessione.
Serve – ci ha invitato a farlo pochi giorni fa, nel suo messaggio di fine anno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – uno sguardo rivolto a futuro e calato sul presente. Va sbloccata la ‘mobilità sociale’, per ricreare le condizioni di pari opportunità previste all’articolo 3 della nostra Costituzione.
E il 2015 è stato anche l’anno in cui un percorso di riforma e riordino istituzionale e costituzionale sembra avviarsi auspicabilmente verso un definitivo compimento. E come scrisse Nilde Iotti proprio nel commentare il percorso di riforma della costituzione tentato alla fine degli anni ’90, con parole sagge e premonitrici nella loro lungimiranza:
“Stiamo decidendo – scriveva nel 1998 – per l’Italia che si affaccia al XXI secolo, che affronta temi nuovi di solidarietà tra gli uomini, di superamento di vecchi confini, che dialoga con altri popoli con linguaggi nuovi che deve allontanare con forza i sempre ricorrenti rischi di guerre, dell’odio, della negazione della vita e della dignità umana”.
Viva l’Italia
Viva il Tricolore.
Giammaria Manghi, presidente della Provincia
Porto il benvenuto della Provincia di Reggio Emilia alla Presidente della Camera, onorevole Laura Boldrini, e al Ministro Del Rio. E un caloroso saluto al Prefetto Raffaele Ruberto, al Sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, al Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, a tutte le autorità civili, militari, religiose, ai cittadini presenti in questo teatro, a tutti coloro che stanno seguendo le celebrazioni del 219° anniversario della nascita della bandiera italiana ed in particolare gli studenti delle nostre scuole.
Nel 2016, questa storica e gioiosa ricorrenza coincide con il primo anniversario dell’attentato alla sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo. Al ricordo commosso di quelle 12 vittime, desidero unire a nome della comunità reggiana la nostra vicinanza al popolo francese, tragicamente colpito anche il 13 novembre 2015 dalla barbarie terrorista con le stragi di Parigi.
Il Tricolore che oggi celebriamo è legato indissolubilmente al Tricolore francese non solo per l’aspetto ma soprattutto per i nuovi ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità che quel vessillo incarnava agli occhi dei patrioti del Nord Italia, i quali fraternizzavano con le truppe napoleoniche durante la campagna d’Italia contro la potenza austriaca.
Valori che oggi siamo chiamati a reinterpretare – per rispetto di quei patrioti, del nostro Tricolore e dei nostri figli – in chiave di convivenza pacifica; a mantenere ben saldi al centro del nostro agire quotidiano perché di fronte al terrore, di fronte a un conflitto diverso – combattuto con altri stili e altri modi rispetto al passato – si può e si deve reagire solo senza chiuderci in noi stessi, ma rimanendo comunità vera, aperta verso chi cerca migliori condizioni di vita e si sposta per il mondo. Non dobbiamo tornare a sbarrare le frontiere aperte con Schengen, come purtroppo sta accadendo in queste ore, ma continuare – come ricordò una grande reggiana, Nilde Iotti – a “cogliere negli altri solo quello che di positivo sanno darci e non combattere ciò che è diverso, che è “altro” da noi”.
La libera circolazione da un Paese all’altro è stata una delle più grandi libertà che l’Europa unita ci ha donato. Certo, è indispensabile che i governi europei trovino un’intesa vera non per richiudere, ma per presidiare le frontiere, condividendo l’onere dell’accoglienza e respingendo chi non ha diritto di restare.
Così come di fronte alle difficoltà di differenti modelli di integrazione – dall’assimilazionismo francese al multiculturalismo inglese – dobbiamo interrogarci su quali possano essere i nuovi criteri regolatori di una società dell’accoglienza, che assicuri una convivenza civile, pacifica e ricca di opportunità per tutti: che non sia solo una anonima coesistenza o, peggio ancora, un legame vincolante che obbliga le diverse culture a spogliarsi della propria identità.
Libertà, uguaglianza e fraternità sono valori per noi irrinunciabili. A partire proprio da quella libertà ancora oggi negata in troppi angoli del mondo e minacciata nel nostro continente; la libertà di pensiero ed anche di critica, attaccata un anno fa; la libertà dei nostri giovani di andare a un concerto, allo stadio o in un ristorante, presa di mira il 13 novembre.
Sul riconoscimento di questa libertà non possono esserci se o ma. Per questo ho particolarmente apprezzato, proprio in occasione della manifestazione di solidarietà al popolo francese tenutasi qui a Reggio Emilia lo scorso novembre, la testimonianza civile di vera condivisione portata da una rappresentanza della comunità islamica reggiana: una disgiunzione inequivocabile nei comportamenti è fondamentale da parte di un popolo che deve camminare con noi perché l’integrazione si fa soltanto insieme.
Nella complessa ricerca di un nuovo modello di vera, giusta e feconda integrazione, in Italia – a Reggio e in Emilia in particolare – abbiamo un alleato forte e insostituibile: la scuola. Le nostre aule rappresentano una palestra quotidiana di accoglienza e integrazione perché lì, ogni mattina, bambini e ragazzi di ogni colore e di ogni credo sono chiamati a confrontarsi e a crescere: insieme.
Abbiamo molto da imparare dalle scuole, da questi preziosi laboratori di quotidiana integrazione. E abbiamo molto da fare per le scuole. Non solo per renderle sicure, accoglienti e belle, ma anche per sostenere al meglio gli insegnanti affinché siano messi nelle condizioni ottimali per educare i giovani all’incontro con il diverso.
E’, questo, un tema che tocca molto da vicino la Provincia, una istituzione come ben sappiamo al centro di un profondo processo di riforma che, tuttavia, non ha sottratto a questi enti la fondamentale competenza sull’istruzione e sulle Scuole di Istruzione Secondaria di II grado, in particolare: che noi intendiamo esercitare al meglio, come abbiamo sempre fatto, ma per riuscirci abbiamo inevitabilmente bisogno delle risorse necessarie a garantire un investimento così importante per il benessere e la pace della nostra comunità.
Proprio la stagione di riforme che non solo la Provincia, ma l’intero nostro Paese, sta vivendo, può rappresentare una straordinaria opportunità per uscire dalle secche di un crisi prolungata e ripartire – tutti insieme – con rinnovato slancio. Il 2016 sarà l’anno del referendum confermativo delle riforme costituzionali: uno snodo fondamentale nella storia della nostra Repubblica, al quale dobbiamo tutti arrivare preparati e consapevoli.
E’ anche il primo anno che questa provincia affronterà con 42 e non più 45 Comuni. E il partecipato e coraggioso percorso di innovazione istituzionale intrapreso da amministratori e cittadini di Busana, Collagna, Ligonchio e Ramiseto – che a primavera daranno vita al nuovo Comune di Ventasso – potrebbe essere nei prossimi mesi condiviso anche dalle comunità di Campegine, Gattatico e Sant’Ilario d’Enza.
Nel 2016 proseguirà nel suo cammino di riforma anche la Provincia di Reggio Emilia, chiamata ad affrontare – nel solco tracciato dalla Legge Delrio e dagli indirizzi regionali – il secondo tempo di un riordino verso un nuovo soggetto politico-amministrativo, l’area vasta, ancora tutto da delineare nei perimetri, ma soprattutto nei contenuti.
Le istituzioni reggiane ed emiliane, insieme alla nostra Regione, stanno insomma dimostrando di non aver timore del cambiamento, ma di voler essere protagoniste del proprio destino; trovando strade innovative che ci permettano di dare risposte concrete e di qualità alle nuove istanze che provengono da comunità profondamente mutate, in questi anni, a livello tanto demografico quanto economico.
E’ un sforzo che vede impegnati anche associazioni di categoria, sindacati, la cooperazione, il sistema sanitario. Un intero territorio che, con il pragmatico ottimismo che contraddistingue questa terra, cerca di elaborare soluzioni dal contesto locale per rispondere al meglio a dinamiche globali e, soprattutto, ai bisogni di famiglie e imprese. Senza difendere rendite di posizione e senza aver paura anche di cambiare … le carte geografiche!
Di questa grande stagione di riforme, l’Emilia-Romagna e Reggio Emilia in particolare devono essere convinte protagoniste. Vogliamo essere, oggi come 219 anni fa, quella “città animatrice d’Italia” a cui un giovane Foscolo dedicò l’Ode a Bonaparte Liberatore, rendendo omaggio ai reggiani che “primi veri Italiani, liberi cittadini vi siete mostrati, e con esempio magnanimo scoteste l’Italia già sonnacchiosa”.
E vogliamo farlo tutti insieme – senza lasciare indietro o peggio ancora fuori nessuno – coinvolgendo l’intero sistema territoriale, nel segno di quella unità espressa dal Tricolore che oggi celebriamo e con la serenità di chi è convinto che ogni cambiamento può essere un’occasione per crescere.
Viva il Tricolore, viva Reggio Emilia, viva l’Italia!