Lavoro in carcere con L’Ovile e Veroni

22 giugno 2016 | 16:22
Share0
Lavoro in carcere con L’Ovile e Veroni

Partnership con lo storico salumificio Veroni di Correggio per fare lavorare i detenuti. Frumento e ortaggi su tre ettari di terreno che poi saranno venduti al mercato del contadino in piazza Fontanesi

REGGIO EMILIA – Fosse un film, non potrebbe che intitolarsi “tre ettari di libertà”. E in fondo è proprio questo che sta avvenendo nel carcere di Reggio Emilia, dove la cooperativa sociale L’Ovile, in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria ha avviato due progetti di lavoro per i detenuti che si sviluppano all’interno di un fabbricato destinato a laboratorio di falegnameria (con l’attiva partecipazione dell’azienda Fratelli Veroni fu Angelo s.p.a di Correggio) e su tre ettari di terreno coltivati a frumento e ortaggi. Entrambi i progetti sono sostenuti dal contributo della Fondaczione BNC (Banca Nazionale delle Comunicazioni) di Roma.

“Queste attività – sottolinea il presidente della cooperativa L’Ovile, Valerio Maramotti – rappresentano la naturale continuità di un impegno ventennale a fianco di carcerati ed ex carcerati, ed in particolare a favore di quelli detenuti negli ex Opg, che pochi anni fa ci ha portati a creare anche un Centro per la Giustizia Riparativa come strumento di possibile riconciliazione – che va al di là dell’esercizio della giustizia ordinaria – tra vittima e reo, grazie alla comprensione piena dell’effetto del reato e del senso della pena”.

“Il lavoro che entra in carcere – spiega Maramotti – è anch’esso uno strumento che non facilita soltanto il futuro reinserimento sociale ed occupazionale di chi sta scontando una pena, ma è prima di tutto il segno di un riscatto già iniziato, il ridare speranza e occasione d’impegno a chi, in questo modo, si sente ri-accolto come persona in ogni sua dimensione e, una volta uscito dal carcere, continuerà ad essere seguito sino alla piena autonomia e coscienza di sè e dei propri mezzi, abbattendo così anche i rischi di ricadute nel crimine”.

“Il sostegno assicurato dall’amministrazione comunale – sottolinea il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi – nasce proprio da questo insieme di obiettivi e di azioni che riguardano il lavoro, l’accompagnamento, le relazioni che si ristabiliscono con ciò che sta fuori dal carcere, creando e ricreando legami probabilmente inesistenti o troppo fragili nel momento in cui si è consumato un reato contro persone o patrimoni, beni individuali o collettivi: questo genera sicuramente una ricaduta umanamente importante e non meno importante in termini di inclusione e di sicurezza”.

Nel capannone concesso in comodato d’uso dall’amministrazione penitenziaria, i detenuti coinvolti svolgono lavori legati alle attività del salumificio Veroni; proprio grazie alla disponibilità della storica azienda correggese e all’accordo con L’Ovile, qui vengono ripristinati (puliti, riparati, rigenerati) i tavoli e altre attrezzature in legno che l’azienda utilizza normalmente per ambientare ed allestire le vendite in store che trovano spazio in supermercati ed ipermercati di tutta Italia.

“Un’attività – sottolinea il presidente Francesco Veroni – che con grande interesse e soddisfazione abbiamo inserito in questo progetto di lavoro in carcere, perchè rappresenta ed interpreta emblematicamente i principi di responsabilità sociale e di artigianalità, intesa come sintesi di valori, che trovano spazio e affermazione in ogni attività della nostra azienda”. “Contestualmente – prosegue Veroni – il carattere continuativo di questo lavoro si presta bene a sviluppare un progetto che include accompagnamento, formazione, professionalizzazione, cioè tutti gli elementi che potranno garantire la possibilità di un pieno reinserimento a quanti, oggi, stanno scontando una pena”.

Il laboratorio, avviato nel dicembre scorso, ha già visto la conclusione della prima parte del lavoro per 15 detenuti, ai quali altri si sono sostituiti e ai quali si sono ora affiancati quelli impegnati nel nuovo progetto di agricoltura sociale – promosso e gestito da L’Ovile, che si colloca tra le strutture leader di Confcooperative in campo sociale – che si è avviato su tre ettari di terreno all’interno del perimetro del carcere”.

“Come Amministrazione penitenziaria, insieme ai partner de L’Ovile, all’amministrazione comunale e all’azienda Veroni – afferma il direttore del carcere, Paolo Madonna – abbiamo scommesso insieme sul carcere come luogo in cui non esiste una condanna che sia per sempre, ma come spazio in cui ci si educa e rieduca al rispetto della legalità, al confronto con gli altri, all’impegno al lavoro come strumento ordinario di sostentamento, di affermazione di capacità proprie e collettive, dando un senso profondo anche alla stessa competitività come mezzo per dare il meglio di sè al di fuori di logiche di prevaricazione”.

Due dei tre ettari concessi dall’Amministrazione penitenziaria, come si è detto, sono coltivati a frumento (le farine sono poi commercializzate da L’Ovile), mentre un ettaro è destinato a coltivazioni di ortaggi.  “Quelle che sono messe in atto – spiega il direttore de L’Ovile, Daniele Marchi, responsabile anche del Centro per la giustizia riparativa – non sono esercitazioni, ma attività economiche in senso stretto, che hanno uno sbocco commerciale in mercati rionali, nel mercato del contadino in Piazza Fontanesi (presenza cui ha contribuito Confagricoltura) in cui i prodotti saranno venduti dagli stessi detenuti a partire dal due luglio, nei rapporti creati con Gruppi di Acquisto Solidali (GAS), e sono proprio queste azioni a dare il senso di una prospettiva ai carcerati coinvolti”.

Il lavoro agricolo e quello di falegnameria coinvolgono oggi 12 detenuti (6 nel laboratorio per 18-20 ore settimanali e 3 in regime di semilibertà per 40 ore settimanali sul terreno e la presenza al mercato di Piazza Fontanesi con gli operatori de L’Ovile), seguiti da 2 coordinatori e alcuni tirocinanti. “L’inserimento nelle attività lavorative – sottolinea Marchi – è preceduto da un corso di formazione, il cui valore non è riferibile solo agli aspetti teorico/pratici legati al lavoro stesso, ma prima ancora, e soprattutto, alle relazioni che in questo modo si stabiliscono e alla presa di coscienza del senso di un impegno che si sviluppa entro il perimetro del carcere, ma ha ricadute che vanno ben oltre queste mura”.