Pedofili e adescatori, viaggio nella giungla di This Crush

Abbiamo creato una nostra identità e siamo entrati in un drammatico ballo in maschera fra molestatori scatenati, cyberbulli, pervertiti a caccia di giovani vittime
REGGIO EMILIA – “Sono il tuo strizzacervelli, io sono il tuo collegamento diretto alla centralina delle anime… il Babbo Natale del subconscio. Lo dici, lo pensi, puoi averlo”. Le parole di Lenny Nero, “pusher” di emozioni forti nel film “Strange Days” (1995) di Kathryn Bigelow, ben descrivono cosa accade dentro a “This Crush”, il nuovo social network che fa impazzire i ragazzini. Coperti dal più totale anonimato, ci si può inventare una nuova identità (noi lo abbiamo fatto in meno di un minuto) e sbizzarrirsi.
Si entra in un drammatico ballo in maschera: molestatori scatenati, cyberbulli, pervertiti a caccia di giovani vittime, tutti possono insultare e rivolgere apprezzamenti sessuali pesanti a chiunque. Si crea un collegamento diretto tra i peggiori istinti o i sogni più proibiti, e la tastiera… senza nessun filtro: né di galateo, né lessicale, tantomeno morale. L’anonimato scatena fenomeni di aggregazione all’insegna della cattiveria, uno dei modi con cui gli adolescenti manifestano rabbia e frustrazione. This Crush (“questa cotta”), in Italia diffuso da pochi mesi, era nato come possibilità di dare “like” anonimi per esprimere innamoramento o il gradimento per una persona. Dato che non si può rispondere direttamente agli interlocutori, l’utente pubblica collegamenti ad altri social (spesso Instagram, anche Facebook), così gli insulti e le oscenità rimbalzano nella rete da link a link.
Il bullo: “Non ti far trovare al parco che se ti prendo finisce male”
Abbiamo deciso di esplorare questo “nuovo mondo”. In pochissimo tempo ci registriamo: vengono chieste semplicemente una password e uno username, che ovviamente invento. Appena mi “incarno” nel mio nickname appare il mio profilo con la scritta: “Ti piaccio? Clicca qui e dimmi tutto”. Per trovare “amici” vado nella pagina dell’idolo delle teenager Justin Bieber: è pieno d’italiani. Saranno ragazzini o adulti mascherati? Maschi o femmine? Criminali o agenti della Polizia postale sotto copertura? Mi muovo di profilo in profilo, di pagina in pagina. Accanto a normali conversazioni (ne abbiamo trovate anche tra giovani che frequentano la stessa scuola), si svela un universo liquido – una fogna – di post anonimi, di utenti senza volto e di “avatar” troppo belli per essere veri. Ecco che assisto a un pestaggio virtuale con cyberbulli che promettono botte vere: “Non ti far trovare al parco che se ti prendo finisce male”. “Non ti montare la testa che non sei nessuno se ti prendo ti spacco”. “Non vali niente vai subito a rincorrere quel fr.. dell amico tuo”.
“Fi… sei una 2004 ma ti svegli sembra che hai 20 anni”
Vado nella pagina di “Claace”, una ragazzina e leggo una sequenza di messaggi anonimi: “Di dove sei?? bellissima”, “Fi… sei una 2004 ma ti svegli sembra che hai 20 anni”, “Mi farebbe piacere contattarti su insta per conoscerci sono 2003″, “Se uno ti tocca il cu… tu cosa fai? Solo per curiosità ahahah”, “Succhi i c…?”, “Sei proprio bona”, “Quanto fai a p…”, e così di volgarità in volgarità. Cambio pagina, e rapidamente scovo un’altra teenager. Un anonimo feticista le chiede: “Foto scarpe che indossi ora”. Il giorno dopo: “Fai foto da caviglia a scarpe”. Il terzo giorno: “Fai un video dove slacci le converse della tua amica”. Rabbrividisco a pensare come proseguirà questa escalation di richieste-ordini.
L’adescamento pedofilo
Ma il peggio per me (madre, prima che giornalista) arriva con la conversazione tra Marksonzo21 – una scrittura secca e sincopata, quasi rap – e Leonardo456. Il primo ha come immagine il selfie di un adolescente con il volto coperto dalla faccina di un “emoticon”; il secondo si mostra come un culturista in posa in palestra e ricopre di complimenti insinuanti l’altro, riuscendo via via ad ottenere informazioni personali importanti. “Ciao”. “Chi vuole fare quattro chiacchiere”. “I like you”… “Sono di dovera vicino a lodi”. “Quanti anni hai?” “13”. “Sembri più grande, tipo 17 o 18 anni…”“Lo so ahaha sono pure alto è più di 1.80”. “Ah vabbe cmq il nome della ragazza è Carlotta”. “Infatti hai anche la faccia molto adulta. Che fai di bello”. Lo scambio di battute continua: è un vero e proprio adescamento pedofilo. Se in meno di un’ora abbiamo intercettato queste situazioni scabrose, possiamo solo immaginare cosa accade quando le conversazioni si spostano “in private”.
L’esperto: “Bisogna insegnare ai nostri ragazzi come funzionano Google e Facebook.I ragazzi, così critici verso il potere, quando lo capiscono cominciano ad essere molto più prudenti”
A fronte dei rischi – assolutamente reali – che vengono dal mondo virtuale cosa possono fare i genitori per proteggere i figli? “Bisogna sapere come funziona la macchina, i meccanismi che regolano i social, cosa tecnicamente si nasconde dietro Google o Facebook. Solo in questo modo possiamo avere autorevolezza verso i ragazzi, spiegare loro che nessuno è anonimo ma anzi che siamo costantemente tracciati in tutto ciò che facciamo sul web e che in cambio di servizi gratuiti forniamo informazioni personali preziosissime alle aziende che li usano per fini commerciali. Ha più potere Zuckerberg o il presidente Mattarella? Chi riesce in pochi secondi a sapere quanti giovani italiani mangiano una certa marca di caramelle? I ragazzi, così critici verso il potere, quando lo capiscono cominciano ad essere molto più prudenti”. Lo afferma Luigi Cirelli, formatore specializzato in nuove tecnologie e media education, che recentemente ha tenuto un seminario a Cavriago su come utilizzare in maniera consapevole i nuovi media e “conciliare le esigenze educative dei genitori coi bisogni tipici dell’infanzia”.
“Tra figli e genitori deve esserci un patto di fiducia che funziona ovunque, nel mondo reale e nel virtuale”
Ma è utile monitorare costantemente i figli, controllare di nascosto il loro telefonino o crearsi “falsi profili” per seguirli on line? “Lo si può fare, ma mai di nascosto e all’inizio, quando iniziano a muoversi in quel mondo. Essere presenti nella vita dei figli è sapere con chi fa allenamento, non essere sempre lì a guardarlo. Tra figli e genitori deve esserci un patto di fiducia che funziona ovunque, nel mondo reale e nel virtuale, come ovunque ci sono persone subdole che possono irretirli. Se il patto di fiducia non passa per il web, vuole dire non passa anche dall’altra parte e che c’è un problema di fondo”. Regole per l’approccio al mondo di internet e dei social non ce ne sono: “Ogni famiglia ha le sue, e conosce il contesto. Che senso ha vietare Fb a un ragazzo se nella sua classe tutti hanno un profilo? Di certo, non è vero che è la qualità del tempo che conta. E’ la quantità: se i ragazzi vedono che partecipi alla loro vita, che parli con loro, che ti interessi e ti dedichi a loro, i ragazzi ci sono”.