Parco Innovazione, viaggio nella fucina degli startupper
Alla scoperta dei giovani che stanno seguendo le orme degli operai che diedero vita al miracolo economico reggiano dei primi anni ’50
REGGIO EMILIA – Gli startupper che escono oggi dal Tecnopolo, cuore del Parco Innovazione di Reggio Emilia, le cui infrastrutture stanno sorgendo dal recupero dei capannoni delle Reggiane, si possono, a buon titolo, considerare i nipoti degli operai che diedero vita al miracolo economico reggiano dei primi anni ’50, quando i lavoratori altamente specializzati delle Officine Reggiane persero il lavoro e iniziarono a mettere in piedi le loro piccole fabbriche meccaniche.
Le Reggiane, da questo punto di vista, con la loro storia, sono il punto ideale da cui partire per immaginare la Reggio del futuro. I volti di quegli operai, che potete vedere anche in questo servizio, si sovrappongono, idealmente, a quelle dei giovani che abbiamo intervistato.
Gli operai di allora, con le loro facce e mani sporche, creavano aerei e locomitive in ambienti, insicuri e insalubri, in cui oggi sarebbe difficile immaginare un lavoratore. I giovani di oggi, in laboratori asettici, creano morsetti in grado di assemblare, come in un grande Lego, mobili a migliaia di chilometri di distanza scaricando da internet le istruzioni. Oppure analizzano big data che servono alle imprese per intuire le preferenze dei consumatori. Ma la sostanza è sempre la stessa. Oggi, come allora, portano innovazione nel presente.
E allora scopriamo questi innovatori che sono usciti da UpIdea, il programma di accelerazione di 5 mesi, realizzato con il contributo di Luiss Enlabs, che si svolge al Tecnopolo, grazie a Fondazione Rei, che dà la possibilità di avere contatti con Venture Capitalist, Business angels, Istituti di credito e imprese.
Stefano Guerrieri, di PlayWood, una laurea in economia e un master in design, sposato con Carlotta, racconta: “Sono venuto in contatto con il Tecnopolo da subito. PlayWood nasce da un’idea imprenditoriale. L’azienda è stata sviluppata in un percorso di accelerazione fatto al Tecnopolo grazie a “Upidea”. Poi siamo andati in un acceleratore più grande, a Roma, dove abbiamo portato avanti un altro percorso di sei mesi che ci ha permesso di raccogliere fondi per sviluppare la nostra idea imprenditoriale”.
E spiega cosa produce la sua azienda: “Abbiamo sviluppato un connettore, un morsetto che permette di combinare qualsiasi pannello, senza rovinarlo, con i nostri arredi, in una sorta di grande Lego. Sono ottimi per esibizioni temporanee, spazi di coworking, fiere. Le parti in legno possono essere prodotte localmente, mentre i progetti sono scaricabili dal nostro sito internet. Così tu puoi fare viaggiare solo i morsetti. Cosa serve per essere uno startupper? Bisogna avere spirito imprenditoriale e convincere gli altri che la propria idea è valida”.
Vicino a lui c’è Silvia Ciampa, pr manager di KPI6. Anche l’azienda fondata dal suo compagno è nata nel Tecnopolo: “Il mondo delle ex Reggiane e del Tecnopolo ci piace e ci siamo affezionati. Io e il mio compagno avevamo un’agenzia di comunicazione e volevamo inventarci qualcosa di innovativo. Pure noi abbiamo iniziato qui con “Upidea” e poi abbiamo fatto un percorso di accelerazione a Roma”.
Spiega cosa fa la sua azienda: “KPI6 si occupa di analisi dei big data che provengono dai principali social network. Aiutiamo le aziende a studiare le principali conversazioni degli utenti per studiare un’analisi di marketing efficace. Cosa serve per essere uno startupper? Oggi se un imprenditore non è un po’ startupper può essere un problema, perché tutte le aziende hanno bisogno di un lato giovane, nuovo, di ricerca e di sviluppo”.
Oggi, come 70 anni fa, c’è un filo rosso che lega quegli operai nelle foto in bianco e nero e questi giovani che si muovono in un mondo digitale fatto di pixel.
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