I cugini Salvo, fedelissimi di Salvo Lima e Giulio Andreotti
Taglieggiavano la Sicilia con le tasse: Antonino morì prima della fine del maxiprocesso di Palermo e Ignazio fu condannato a tre anni per associazione mafiosa e morì su ordine di Totò Riina
REGGIO EMILIA – Ma chi sono i cugini Salvo, i cui figli e nipoti, si vedono oggi commissariata la loro azienda, la Lg Costruzioni, per il rischio di infiltrazioni mafiose? Per raccontare la loro storia bisogna andare indietro di 40 anni e fare un salto in Sicilia.
I cugini Ignazio e Antonino Salvo (foto da Antimafiaduemila) furono due imprenditori, esponenti politici aderenti alla Democrazia Cristiana che, secondo gli inquirenti, sarebbero stati affiliati alla cosca mafiosa di Salemi, in provincia di Trapani. Nel 1955 Nino Salvo sposò la figlia di Luigi Corleo, che era il gestore di una delle piccole società che avevano in appalto la riscossione delle tasse. Insieme a Corleo e al cugino Ignazio, Nino Salvo diede vita ad un cartello che si assicurò la riscossione del 40% delle tasse siciliane.
Nel 1962, con l’aiuto di Salvo Lima, fedelissimo di Giulio Andreotti che venne assassinato dalla mafia nel 1992, i cugini Salvo ottennero l’appalto per la riscossione delle tasse a Palermo e negli anni successivi si accaparrarono enormi cifre provenienti da contributi europei stanziati per l’agricoltura siciliana, attraverso le aziende fondate con i ricavi esattoriali stessi.
Dopo l’inizio della seconda guerra di mafia, i cugini Salvo sarebbero passati dalla parte dello schieramento dei Corleonesi, che faceva capo proprio a Riina. I Salvo erano in stretti rapporti con Giulio Andreotti, Salvo Lima, Mario D’Acquisto, Rosario Nicoletti e Attilio Ruffini. A testimonianza di questo in occasone delle nozze della figlia di Nino Salvo, Angela, Andreotti inviò un vassoio d’argento come regalo agli sposi.
Il 12 novembre 1984 il giudice Giovanni Falcone chiese ed ottenne l’arresto dei cugini Salvo con l’accusa di associazione di tipo mafioso. Nino Salvo morì in Svizzera, in una clinica di Bellinzona, il 19 gennaio 1986 per un tumore, attorniato dai suoi parenti. Non si era ancora concluso il maxiprocesso di Palermo, nel quale era imputato insieme al cugino ed altre centinaia di persone.
Ignazio Salvo fu condannato a sette anni di carcere per associazione mafiosa in primo grado, mentre in appello la condanna venne ridotta a tre anni. Il 17 settembre 1992, sei mesi dopo la morte di Salvo Lima, venne ucciso mentre stava entrando nel cancello della sua abitazione da un gruppo di killer capitanato da Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Gioè. Ad ordinare la sua morte fu Totò Riina ed il motivo dell’assassinio fu lo stesso di Salvo Lima: Salvo aveva dato garanzia che si sarebbe attivato perché in Cassazione la sentenza del maxiprocesso venisse annullata. Inoltre, secondo i collaboratori di giustizia, il delitto venne eseguito anche per lanciare un avvertimento a Giulio Andreotti.