Vicenda di Casalgrande, il gruppo Rolando Rivi: “Messa in latino, ma ubbidienza alla Chiesa”
Il gruppo cattolico: “Ci auguriamo inoltre che i fedeli appartenenti alla comunità “Cittadella della misericordia” si ravvedano dalle loro erronee posizioni rientrando in piena comunione con i vertici ecclesiali”
REGGIO EMILIA – A nome del gruppo stabile “beato Rolando Rivi” per la celebrazione in forma straordinaria (rito romano precedente la riforma liturgica del 1970) a Correggio, sentiamo il dovere di prendere una posizione pubblica in merito ai recenti fatti che hanno portato alla ribalta dei quotidiani la cosiddetta comunità di Casalgrande alto “Cittadella della misericordia”.
In primo luogo, desideriamo esprimere pubblicamente la nostra condanna per la grave scelta da parte dei membri della suddetta comunità di “non considerarsi giuridicamente vincolati alla giurisdizione dell’attuale Gerarchia”. Come anche indicato dalla nostra diocesi, si tratta di un atteggiamento scismatico assolutamente inaccettabile per qualsiasi cattolico che rompe la Comunione ecclesiale. Siccome però diverse testate locali hanno fatto confusione in merito a questo argomento, indicando che l’origine dell’atteggiamento scismatico di tale comunità fosse da riferirsi alla celebrazione della Messa nella forma antica, ci teniamo a precisare quanto segue.
Il nostro gruppo ha sempre celebrato regolarmente la Messa nella forma antica (forma straordinaria) a Correggio fin dal 2008, a seguito della promulgazione del Motu proprio Summorum Pontificum da parte di Benedetto XVI. Ciò è sempre avvenuto in piena comunione e in accordo con tutti i vescovi che si sono succeduti sulla cattedra di san Prospero in questi anni: da mons. Adriano Caprioli a mons. Giacomo Morandi, passando per mons. Massimo Camisasca, il quale ha anche pubblicamente celebrato per il nostro gruppo una S. Messa in forma antica a Correggio nell’ottobre 2017.
Lo stesso mons. Camisasca, a seguito del motu proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco, ha recentemente ribadito la piena legittimità del nostro gruppo, incaricando anche ufficialmente un sacerdote per le officiare le nostre celebrazioni. Tutti i nostri vescovi hanno pertanto sempre riconosciuto il bene e lo spirito di comunione che l’esperienza del nostro gruppo, legato alla tradizione della Chiesa, ha portato alla nostra diocesi.
Alla luce della nostra esperienza di questi anni possiamo quindi affermare che i fedeli come noi, legati alla forma antica della Messa, con una spiritualità – si passi il termine: “tradizionale” – hanno nella nostra diocesi la possibilità di vivere questa particolare sensibilità in piena comunione con la Chiesa e con i propri pastori. Gli atteggiamenti scismatici, come quelli manifestatisi a Casalgrande, oltre a essere deleteri per chi li porta avanti, sono anche del tutto inutili. La storia del nostro gruppo lo testimonia.
Va però detto che, effettivamente, la storia di questi ultimi anni, come anche lo stesso caso citato della comunità di Casalgrande, evidenzia come nella diocesi di Reggio una significativa sensibilità “tradizionale” sia presente e cerchi un suo spazio di ascolto e di azione. Purtroppo, però, diversamente da quanto fatto dal nostro Gruppo Stabile, certe esperienze avvengono non in piena comunione col Vescovo e con la Chiesa. Si pensi, ad esempio, alle varie processioni riparatrici svoltesi a Reggio in questi anni o alla presenza a Budrio di Correggio di sacerdoti appartenenti alla fraternità San Pio X fondata da mons. Lefebvre.
Non è sufficiente limitarsi a condannare coloro che, sbagliando, si pongono fuori dalla comunione con la Chiesa, bisogna anche che ognuno di noi, soprattutto chi guida la nostra diocesi, si interroghi sulle ragioni per cui diversi fedeli si spingono sempre più frequentemente in tale direzione. La risposta a ciò ci viene dallo stesso Benedetto XVI, citato anche da Papa Francesco nella lettera di accompagnamento del motu proprio Traditionis Custodes: “In molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. […] Ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa” (lettera di accompagnamento al motu proprio Summorum Pontificum, 7/07/2007).
Auspichiamo quindi che tali dolorosi avvenimenti siano occasione per una profonda riflessione su queste tematiche. Ci auguriamo inoltre che i fedeli appartenenti alla comunità “Cittadella della misericordia” si ravvedano dalle loro erronee posizioni rientrando in piena comunione con la Chiesa e trovando nel vescovo Giacomo una sincera accoglienza e collaborazione.
A nome del gruppo stabile “beato Rolando Rivi”
I portavoce
Andrea Zambrano e Carlo Alberto Alberti