ROMA – Nel 2017, durante un normale posto di blocco, i carabinieri fermarono Matteo Messina Denaro, ricercato da ben 23 anni. Il boss mafioso accostò l’auto, presentò i documenti alla pattuglia, tra cui una carta d’identità chiaramente falsa, con una foto che lo raffigurava. Nonostante l’evidente falsificazione, i militari non sospettarono nulla e lo lasciarono proseguire. Questa incredibile storia è stata svelata dal procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, che ha condotto le indagini che portarono alla cattura del temuto padrino, avvenuta il 16 gennaio dell’anno precedente.
De Lucia ha anche rivelato un altro episodio sorprendente: sette anni prima, nel 2009, Messina Denaro era stato fermato in provincia di Trapani, ma neanche allora venne riconosciuto dai controlli dei carabinieri. Questo fatto solleva interrogativi sulla possibilità che il boss potesse contare su un sistema di informazioni privilegiate riguardo ai movimenti delle forze dell’ordine. Si sta ora cercando di individuare chi abbia favorito Messina Denaro durante i suoi trent’anni di latitanza.
Il capo dei pm ha fatto notare che Messina Denaro aveva fiducia nel fatto che le forze dell’ordine avessero solo vecchie foto di lui e ha ironizzato sulla situazione in un diario trovato nel suo rifugio. Nel diario, il boss commentava le immagini, sottolineando che non corrispondevano alla sua reale età e apparenza.
Questa storia non è un caso isolato nel mondo della criminalità organizzata: nel 1997, anche Bernardo Provenzano, altro noto boss corleonese ricercato, riuscì a mostrare un documento falso alla polizia vicino a Palermo e venne lasciato andare. Provenzano sarebbe stato catturato solo nove anni dopo nel suo covo a Montagna dei Cavalli.