Maria, un angelo fra i disperati della stazione
La presidente de “La Nuova luce” e i suoi volontari forniscono cibo e aiuti al popolo dei senzatetto che passa le notti fra il freddo e la paura
REGGIO EMILIA – Arriviamo in piazzale Europa che manca poco alle otto. Sotto al barettino, che ora è chiuso, c’è già una persona che dorme infagottata nelle sue coperte. Poca gente in giro, ora che le corriere non ci sono più. Alcuni ragazzi si divertono sulla pista dello skate park illuminato. Qua e là sostano degli immigrati in sospettosa attesa. Siamo in una delle piazze dello spaccio di Reggio Emilia dove le retate della polizia sono quotidiane, proprio dietro piazzale Marconi, nella zona della stazione dove, nel giro di nove mesi, si sono consumati tre omicidi e un tentato omicidio.
Le luci del Parco innovazione, con i loro laboratori all’avanguardia, sono vicine, eppure sembrano distare anni luce da questo mondo. Questa è una delle aree più calde della città, per quel che riguarda la sicurezza. E’ qui che operano i volontari de “La Nuova luce”. Arrivano in auto e allestiscono il loro banchetto sulle panchine degli autobus che, per l’occasione, diventano una tavola. I senzatetto giungono alla spicciolata, avvertiti dagli sms che gli sono stati inviati da quella che tutti chiamano “mamma Maria”, il loro angelo della stazione, Maria Diletto la presidente de “La Nuova luce”.
Il menu prevede pasta al pomodoro e lenticchie, preparati nella moschea lì vicino. Ci sono anche delle uova e dei mandarini come frutta. I volontari sono giovanissimi, per lo più donne. C’è familiarità fra loro e gli immigrati che arrivano, si scambiano pacche sulle spalle e battute.
Ci dice Maria Diletto, una bella signora mora, sulla quarantina, di origini calabresi, che lavora in un centro di accoglienza minori: “Non abbiamo una giornata fissa, perché, con il mio lavoro, faccio i turni e non posso essere sempre qui. Quando ho tempo, mando un sms e i ragazzi vengono. Diamo da mangiare a una cinquantina di persone, fra qua e la stazione. Io sono dieci anni che lo faccio, mentre l’associazione c’è da cinque anni. Mi sembrava giusto tutelare i volontari anche dal punto di vista assicurativo. I nostri amici vengono da tutto il mondo e ci sono anche degli italiani. C’è gente che aveva una vita normale, ma poi perdi il lavoro, subisci lo sfratto e finisci in mezzo alla strada. Ci sono anche due o tre che vengono dalle ex Reggiane. Cosa penso di un nostro coinvolgimento, per le politiche di integrazione, da parte del Comune? Guardi, noi facciamo tutto questo per aiutare le persone. Se collaborare con l’amministrazione e con altri reti ci permette di farlo meglio, perché no. A noi interessa aiutare di ragazzi”.
Ma chi sono gli amici di mamma Maria? Ne abbiamo intervistati alcuni per conoscere le loro storie. Nasser viene dal Marocco. Ci racconta: “Stavo alle ex Reggiane, ma c’era un casino tale. Era veramente un disastro. Spaccio di droga, la notte non c’era nessuno e, se succedeva qualcosa, era un dramma. Adesso sono nel progetto della Papa Giovanni XXIII, ho un appartamento e un lavoro. La mia vita è cambiata, sto bene”.
Mamdouh egiziano è uno dei fortunati che, dopo aver dormito per tre mesi in stazione, ha trovato un posto nella casa di viale Ramazzini de La Nuova luce. Racconta: “Sono due anni che sono qua. Sono arrivato che non avevo amici e lavoro come muratore. Il problema, per molti, sono i documenti, perché, se non hai il permesso di soggiorno, in Italia non puoi lavorare. Io li ho e sono a posto. Ho la casa e il lavoro anche grazie alla sorella Maria”.
Mohamed, tunisino, nome di fantasia, 57 anni, è in Italia dall’84: “Ho lavorato fino a luglio dell’anno scorso come saldatore. Primo abitavo con uno e poi, quando lui ha portato qui la sua famiglia, sono dovuto andare via. Ho provato a cercare un posto letto e un appartamento, ma non c’è stato niente da fare. Ho girato dappertutto. Adesso sto cercando lavoro. Dormo in macchina, sotto il ponte del cavalcavia”.
Finito di distribuire i pasti a piazzale Europa i volontari portano tutto con loro e si trasferiscono, tramite il sottopassaggio, in piazzale Marconi. Qui l’atmosfera cambia. I volti delle persone che arrivano sono più segnati, perché molti di loro passano la notte in stazione. Alcuni girano con un trolley, segno che dormono altrove, o sono venuti apposta per mangiare. Ci sono anche parecchi italiani, a dimostrazione di come la povertà stia mettendo in difficoltà anche chi non è immigrato da poco nella nostra città. I volontari tirano su un paio di tavolini di fianco a dove una volta c’era il McDonald’s e ricominciano a dare da mangiare.
Lotfi, un tunisino, ci racconta: “Sono arrivato in Italia nel 2017. Lavoravo come steward al Mapei stadium (ci fa vedere le foto, ndr), ma poi ho avuto un problema con i documenti e non ho più potuto continaure. Adesso ho chiesto aiuto a un avvocato, ma ho dei problemi con lui. Dormo qua, ma la notte è pericoloso. Mi hanno anche aggredito”.
Di fianco a lui c’è Stefania, nome di fantasia, che è originaria di Napoli e pure lei dorme in stazione. Ci dice: “Ieri sera ho preso un pugno, guarda qui (fa vedere il livido sotto l’occhio, ndr). Sono arrivata qui 36 anni fa. Avevo una famiglia e una vita normale. Poi il mio compagno è stato accusato di tentato omicidio e la mia vita è cambiata. Vorrei lavorare, che so, come cameriera. Ma come faccio? Dove mi lavo? Devo ripartire da zero, lo so. Ma non è facile. Sono l’unica donna che vive qui”. Conclude con orgoglio: “Quel poco che guadagno, lo guadagno da sola e non mi sono mai venduta”.
Dopo che anche l’ultimo dei senzatetto è stato rifocillato, i volontari smontano i tavolini e se ne vanno. Due chiacchiere con quelli che, oramai, sono diventati loro amici e poi, per i disperati della stazione inizierà un’altra notte di freddo, paura e di stenti.