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Don Luigi Ceppi, “o padre da floresta”: una vita al fianco degli ultimi

25 luglio 2024 | 14:42
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Don Luigi Ceppi, “o padre da floresta”: una vita al fianco degli ultimi

Intervista al missionario 75enne, amico di Chico Mendes, che da decenni vive con i popoli dell’Amazzonia combattendo per i loro diritti e la tutela dell’ambiente

REGGIO EMILIA – Don Luigi Ceppi, “o padre da floresta” per gli indios dell’Amazzonia, Don Luiz per tutti gli altri, è uno dei sacerdoti missionari più conosciuti dei nostri tempi. Ha raggiunto grande notorietà, suo malgrado, alla fine degli anni ’80 quando Chico Mendes, il sindacalista che difendeva gli indios e i lavoratori della gomma (“seringueiros”), suo amico e compagno di tante lotte a favore dei più poveri, venne assassinato a Xapurì in Amazzonia da sicari inviati dai latifondisti. Per anni Ceppi ha lavorato con Dom Moacyr Grechi, vescovo di Rio Branco e Presidente della Commissione Episcopale Brasiliana per la Terra.

In questi giorni Ceppi è passato per Reggio, che dal 2013  ha un patto di amicizia con la città amazzonica di Rio Branco. Luiz Ceppi infatti ha mantenuto contatti regolari con una serie di associazioni ed enti reggiani, come Boorea, CGIL, CISL, il Centro Missionario Diocesano e la Fondazione E35 del Comune di Reggio Emilia, che in questi anni hanno sviluppato relazioni con l’Amazzonia. Abbiamo approfittato della sua presenza in città per intervistarlo.

don Ceppi

Don Luiz, cosa ci fa in Italia?
Questa settimana festeggio a Como, la mia città natale, 50 anni di sacerdozio. Poi riparto per il Brasile, dove ho vissuto dal 1979 a oggi. Ho i miei anni, saranno 75 il 12 dicembre, giorno in cui si festeggia Maria di Guadalupa, Patrona dell’America Latina.

E i primi 5 anni di sacerdozio dove li ha trascorsi? 
A Roma, in mezzo a una baraccopoli in una parrocchia sull’Appia Nuova. Andavamo nelle baracche insieme a Madre Teresa di Calcutta a portare aiuti e beni di prima necessità alle famiglie più bisognose, e ce n’erano tante.

Come è stato il suo primo impatto con il Brasile, 45 anni fa?
All’inizio ho vissuto a San Paolo, c’era ancora la dittatura dei generali iniziata nel 1964. Ho visto subito il vero volto della dittatura. Durante una manifestazione repressa brutalmente, venne ucciso un operaio. Ricordo che convincemmo il vescovo a venire a rendere omaggio a quell’operaio assassinato, che era un suo parrocchiano. I funerali si tennero nella parrocchia di San Bernardo e divennero una grande manifestazione contro il regime. Poco dopo partecipai anche alla manifestazione del 1° maggio, non ho mai più visto tanti soldati e tanti cani lupo schierati tutti insieme come quel giorno”

Erano altri tempi rispetto al Brasile di oggi
Anche la Chiesa era diversa, c’erano prelati veramente straordinari. Come don Claudio Hummes, ad esempio. E come il Cardinale Evaristo Arns. Nel 1982 fui destinatario di un decreto di espulsione dal Brasile, ma il Cardinale Arns mi salvò facendomi difendere al processo da uno dei migliori avvocati del Brasile.

Poi il trasferimento in Amazzonia.
Qui ho conosciuto Chico Mendes, i seringueiros, gli indios, e ho cominciato a lavorare con loro. Chico Mendes alla fine è stato assassinato, ma, come amava dire, “se mi uccidono, uccideranno me, non le mie idee”, e in effetti le cose sono andate come aveva previsto lui.

Cosa pensa della Teologia della Liberazione?
Ho fatto da subito l’opzione preferenziale per i poveri, trovando appunto supporto nelle tesi della Teologia della Liberazione che restano oggi più valide che mai, anche se nella stessa Chiesa purtroppo se ne discute sempre meno. Leonardo Boff scrive che, quando i portoghesi arrivarono in Brasile, c’erano non meno di 5.000 gruppi indios che parlavano più di 2.000 idiomi. Oggi di gruppi indios ne sono rimasti circa 500.

don Ceppi

Che prospettive ci sono per il Brasile dopo il ritorno al potere di Lula?
Bolsonaro si è dimostrato di fatto un incompetente e ha cercato di realizzare programmi molto dannosi per l’Amazzonia. Avrebbe voluto donare un piccolo pezzo di terra a tutti, ma così facendo avrebbe ucciso l’Amazzonia, perchè i poveri avrebbero immediatamente rivenduto i loro terreni alle mutinazionali che avrebbero poi disboscato sempre di più. Lula ha fermato questo scempio. Oggi purtroppo Lula è un po’ condizionato dall’apparato statale e dalla necessità di fare accordi in Parlamento. Ma la sua politica basata sulla riforestazione e sull'”estrattivismo”, che condivide con la ministra dell’Ambiente Marina Silva, è una speranza per l’Amazzonia.

Cosa si intende per “estrattivismo”?
E’ un termine che in Brasile ha un significato diverso da quello che ha in italiano. Significa vivere con i prodotti della foresta senza sfruttarla e senza distruggerla, come fanno gli indios e i seringueiros che invece la rispettano, ad esempio intagliando la gomma dalle piante, dando poi loro il tempo per “riposare”, o raccogliendo e coltivando la castagna dell’Amazzonia. Gli indios non ambiscono a diventare proprietari della terra su cui vivono, si limitano ad usarla per vivere. Gli indios non lavorano per il profitto, ma lavorano per avere qualcosa da mangiare. L’esatto opposto di ciò che invece fa in Amazzonia chi alleva ed esporta bovini e suini o coltiva soia, causando la distruzione e il disboscamento della foresta.

Come giudica il pontificato di Papa Bergoglio?
Sicuramente bene. Pone spesso l’accento sul bisogno di recuperare un rapporto corretto con la Terra e con la natura. Spesso è più avanti di buona parte del clero e di molti vescovi. Apprezzo molto anche il suo appello alla “demascolinizzazione” della Chiesa.

Di cosa ha bisogno oggi la Chiesa in America Latina?
Dovrebbe introdurre nella liturgia gli elementi tipici della cultura degli indios, come il rispetto della “Pacha Mama”, la Grande Madre Terra, ad esempio. Però, purtroppo, anche la Chiesa, in America Latina e non solo, soffre dei mali della nostra società. E in particolare di quello che papa Ratzinger ha definito il trionfo del relativismo, cioè la pretesa inividualistica dell’uomo di essere giudice assoluto di tutto e di se stesso. Invece dovremmo tutti recuperare il senso della comunità e il rispetto delle culture altre e diverse dalla nostra, ad esempio la cultura degli indios. Al contrario, tutti vivono dentro i telefonini, non studiano più e vivono in una realtà finta, massificata e omologata.

don Ceppi

E’ sostenibile l’attuale modello di sviluppo?
No. Quando sono arrivato a Manaus negli anni ’80 la città aveva 700.000 abitanti, oggi ne ha 4 milioni. Pensate al Mato Grosso. E’ stato completamente disboscato. La sua capitale Cuiabà fino a pochi decenni fa aveva una temperatura media di 28 gradi: oggi in molti mesi all’anno il termometro arriva a 40 gradi. Il covid non ci ha insegnato niente, purtroppo…Come scrive Eduardo Galeano, se andiamo per una strada e cadiamo per terra, ci facciamo male: se continuiamo a camminare su quella strada, cadremo di nuovo e ci faremo ancora male. Perciò dovremmo cambiare strada.

Lei nelle sue conferenze parla sempre di utopia. Per risolvere i problemi del mondo, cosa servirebbe?
Certo che serve un po’ di utopia, l’utopia è indispensabile. Senza utopia, diventiamo ingranaggi del sistema che avremmo voluto cambiare. Alla fine probabilmente è vero ciò che diceva don Pedro Casaldaliga: alla radice di ogni male c’è la proprietà privata.