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Elif Shafak: “Troppe informazioni, l’antidoto è la letteratura”

8 settembre 2024 | 12:45
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Elif Shafak: “Troppe informazioni, l’antidoto è la letteratura”

L’autrice turca al Festivaletteratura di Mantova: “Dal giorno del processo vivo a Londra, ma ho una nostalgia tremenda del mio Paese”

MANTOVA – “Ogni giorno c’è gente che vorrebbe farci credere che l’identità è qualcosa di fisso e immutabile, monolitico, ma già moltissimi anni fa alcuni filosofi greci ci hanno parlato dell’identità come qualcosa di molto più fluido. Penso ai cerchi che fa un sasso quando viene gettato nell’acqua. La nostra identità la prendiamo dalla nostra cerchia familiare, ma anche dalla nostra regione e città di nascita, dal nostro Paese, dal nostro continente e magari anche dal mondo. Io, per esempio, mi sento turca, ma anche balcanica e pure molto mediorientale. Sono nata in Francia, ma, nel corso degli anni, sono diventata anche britannica. Mi sento soprattutto una cittadina del mondo. Il mio è un modo di vivere l’identità che è plurale e fluido, proprio come l’acqua”.

Lo ha detto ieri sera a Mantova la scrittrice turca Elif Shafak nel dialogo, in una gremita piazza Castello, con Olga Campofreda. L’autrice ha offerto una riflessione profonda sulla complessità dell’identità e sull’acqua, tema centrale del suo ultimo romanzo “I ricordi dell’acqua”.

Shafak

Ha detto la Shafak: “Il mio libro mette insieme tre atomi: due di idrogeno e uno di ossigeno. Poi ci sono due fiumi: il Tigri e il Tamigi. E poi c’è l’unità, ovvero la molecola dell’acqua. Perché l’acqua? Perché è un elemento del nostro mondo e della nostra vita che non possiamo mai dare per scontato e quindi ho pensato a questo mio romanzo come a una sorta di lettera d’amore verso l’acqua. Oggi sentiamo parlare spesso di crisi climatica e di riscaldamento globale, vediamo inondazioni e tsunami e questo ci porta erroneamente a credere che l’acqua abbondi nel nostro mondo, ma, invece, scarseggia sempre di più. Fra i dieci paesi del mondo che sono più gravemente colpiti dalla penuria di risorse idriche, sette si trovano nel Medioriente e nel Nord Africa. I fiumi stanno morendo, perché arriva a loro sempre meno acqua e questo fenomeno ha delle conseguenze politiche, sociali ed economiche enormi”.

Nel romanzo della Shafak si intrecciano le vite di tre personaggi (un ragazzino povero nato nella Londra vittoriana, una idrologa che vive a Londra e una ragazzina yazida) che, all’inizio, sembrano non avere nulla in comune. Poi, a mano a mano che si procede nella lettura, le loro vite si avvicinano.

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Continua la Shafak: “Il libro si ispira a eventi realmente accaduti e a fatti storici. In particolare la storia di Arthur, il ragazzino della londra vittoriana. Stiamo parlando di un giovane che è nato nei sobborghi più poveri di Londra, in una società con delle disparità di classe impressionanti. In realtà si chiamava George Smith. Eppure lui ce la fa, studia la scrittura cuneiforme e si innamora del poema di Gilgamesh e lo decifra per noi”.

Si passa poi a parlare di social media e letteratura. Riflette la Shafak: “C’è un pulviscolo di informazioni che ci piovono addosso costantemente. Le informazioni sono troppe e troppo frammentate. Il nostro cervello non è progettato per gestire questo continuo flusso. Allora, alla fine, che cosa facciamo? Andiamo sugli schermi dei nostri computer e consultiamo qualche oracolo del nostro tempo. Tipo Google: e scrolliamo, scrolliamo. Quanto tempo dedichiamo all’acquisizione di conoscenze? Io ho l’impressione che questi mezzi digitali ci danno l’illusione di conoscere, ma non è altro che un’illusione. Se non hai la risposta vai su Google. Leggi qualche parola, forse qualche frase nel giro di pochi secondi. E’ conoscenza? E’ che non siamo più in grado di rispondere ‘non so’ a una domanda. Dovremmo avere un atteggiamento un po’ più umile, di persone che hanno molto da imparare. Ma questi media non ce lo consentono. Tanta informazione, così, è un ostacolo alla conoscenza che è una cosa che procede lenta e che si acquisisce in un grande arco di tempo. Che si nutre di conversazioni ricche di sfumature. E’ il giornalismo lento. Sono i libri e i festival letterari. Il livello superiore è la saggezza. Per me l’unico antidoto a tutta questa situazione è la letteratura”.

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Si passa infine a parlare della “Bastarda di Istanbul”, un romanzo della Shafak del 2006 che l’ha fatta conoscere ad un pubblico internazionale, ma che è stata anche un’opera dolorosa per lei, perché, a causa di quella storia che parlava di una ragazza di origini armene che, dall’America, torna in Turchia alla ricerca delle sue radici, è nato un processo.

La Shafak è finita sul banco degli imputati in Turchia per per aver offeso l’identità nazionale turca per bocca di alcuni personaggi. Nel libro l’autrice parlava del genocidio del popolo armeno avvenuto nel 1915, tema tabù in Turchia. Da allora la Shafak, che poi è stata assolta, non ha messo più piede nel suo Paese e vive in esilio a Londra.

Ricorda la Shafak: “E’ stata un’esperienza sconvolgente. Vi starei mentendo se lo negassi e se dicessi che me la sono gettata alle spalle disinvoltamente. E’ stata una cosa surreale, perché era la prima volta che un’opera di invenzione letteraria andava sotto processo ai sensi dell’articolo 301 del codice penale turco che punisce chi degrada pubblicamente la naziona turca. Era accaduto a storici, giornalisti, ma mai a un romanziere. Il mio avvocato turco si è trovato a difendere un personaggio del romanzo, un armeno. Nel frattempo fuori dal tribunale c’era gente che bruciava la bandiera dell’Unione Europea e che dava fuoco alla mia immagine e mi chiamava traditrice. Sono andata a Londra, ma non riesco a dimenticare la mia patria e la mia terra d’origine. Ho molta malinconia e nostalgia verso la Turchia e il mio cuore, anche se a distanza, è là”.