Joël Dicker: “L’ispirazione? E’ come la Mentos con la Coca Cola”
L’autore svizzero di bestseller come “La verità sul caso Harry Quebert” è stato intervistato, ieri sera da Alessia Gazzola, al Festivaletteratura di Mantova
MANTOVA – “L’animale selvaggio rappresenta quello che noi siamo quando arriviamo ad ascoltarci ed entriamo in connessione con noi stessi. Noi viviamo in un mondo in cui siamo costantemente connessi attraverso i social network, con Instagram e Facebook, ai nostri telefonini che non abbandoniamo mai. Siamo sempre in contatto con gli altri e molto meno con noi stessi, con quello che abbiamo voglia di fare e con chi vogliamo essere. Cerchiamo sempre conferme dall’esterno attraverso i social network che funzionano, esattamente, appoggiandosi su questo meccanismo”.
Risponde così Joël Dicker alla domanda della scrittrice Alessia Gazzola che lo invita a parlare del suo nuovo romanzo: “Un animale selvaggio”. L’autore svizzero di bestseller come “La verità sul caso Harry Quebert” era in piazza Castello, venerdi sera, ospite del Festivaletteratura di Mantova di fronte a un migliaio di persone.
“Ascoltiamo l’animale selvaggio che è in noi”
Continua Dicker: “Abbiamo tutti un istinto, un animale selvaggio che vive dentro di noi e quando lo ascoltiamo di solito stiamo bene, perché siamo noi stessi. Siamo vicini a quello che siamo davvero. Questo animale selvaggio è quella parte di noi di cui non riusciamo a farci carico fino in fondo e di cui non riusciamo ad assumere la responsabilità fino in fondo. Ecco questo libro racconta e mette in scena quattro personaggi che sono dilaniati da un lato da quello che loro sono veramente e, dall’altro, dall’immagine di sé che vogliono dare al mondo”.
“Che belva mi sento? Un uccello migratore”
Parlando di animali, è inevitabile la domanda della Gazzola, che cita la giornalista Francesca Fagnani che, nel suo programma, chiede sempre agli ospiti che belva si sentono. Risponde Dicker: “L’animale con cui mi identifico è un uccello migratore che è molto bravo a muoversi nello spazio e cambiando molto spesso posto. Di solito rispondiamo a questa domanda pensando agli animali che, magari, ci somigliano di più. Quindi, se uno è molto grosso, pensa ad un orso, ma io, in realtà, preferisco identificarmi con quello che non sono. Essendo uno che si perde spesso, che non ama tanto viaggiare e che soffre di vertigini, mi piacerebbe molto essere un uccello migratore, perché possono volare in alto e si sanno orientare con grande facilità e, soprattutto, hanno questo ciclo che si ripete nella migrazione e che mi riporta all’idea della tradizione, della trasmissione del sapere di generazione in generazione. Al fatto di trasmettere qualcosa ai nostri figli”.
“Il passato e il futuro sono molto più interessanti del presente”
La scrittrice italiana gli chiede poi lumi sull’utilizzo che lo scrittore fa del passato nei suoi libri che, spesso, viene vissuto come qualcosa a cui non possono sfuggire, perché ha inglobato il presente.
Risponde Dicker: “Il presente non è molto interessante. Il futuro lo è: per l’idea di speranza che porta con sé che è sempre entusiasmante. Mentre il presente esiste, perché è esistito il passato. Quando incontriamo un personaggio in un libro, oppure una persona nella vita reale, quello che davvero ci incuriosisce di lui è il suo passato. Il presente è una sorta di racchetta, come quando si gioca a tennis. Se c’è solo quella, non è che ci si può fare un granché. Ci vuole la pallina che è il passato e che, nel momento in cui si colpisce con la racchetta, diventa qualcosa che nasce, prende vita e rappresenta il futuro. Quando incontriamo una persona, la prima impressione, spesso, è quella sbagliata e questo in letteratura è molto utile, perché è quello che si chiama un cliché. Incontriamo un personaggio a cui faremo indossare un determinato costume. Faccio un esempio: la tua migliore amica ti parla del suo nuovo fidanzato e ti dice che è straordinario e simpaticissimo. Te lo fa conoscere. Andate a bere una cosa insieme al bar e lui quasi neanche ti saluta e non alza gli occhi. Per tutta la sera passa il tempo a guardare il telefono. E tu pensi: che stronzo. Quando tu lo pensi è il momento presente ed è un concetto importante, ma non è così interessante. Magari il giorno dopo lo incontri al supermercato e lui ti chiede scusa e ti dice che la sera prima non ha potuto parlare, perché suo nipote ha avuto un incidente ed era in ospedale. Per fortuna adesso va tutto bene, ma ieri sera si stava messaggiando con il chirurgo. Ed ecco che la tua visione cambia. A partire da un cliché avevi creato un’immagine che viene sconvolta da un evento passato. E a quel punto consideri che poi, in fondo, non è così stronzo ed è solo il passato che ti può permettere di tornare indietro nel tempo e riconsiderare la prima impressione che ti hai fatto”.
“Voglio scrivere romanzi più brevi e contare sull’immaginazione dei lettori”
La Gazzola gli chiede poi perché ha detto che si sente arrivato a un punto di svolta e che questo nuovo romanzo segna, per lui, un punto di svolta.
Risponde Dicker: “Perché voglio scrivere libri più brevi, ma non con meno cose, con meno elementi, meno personaggi e meno colpi di scena. Quello che vorrei tentare di fare è limitare quelle che io percepisco, talvolta, come delle ripetizioni. Credo che, in un libro, l’effetto più forte sia quello che è il lettore stesso a decidere. Vi racconto una scena. Immaginate una coppia che sta facendo jogging in riva al mare e vede a terra un pacchetto. Questo è l’inizio di un libro. Ma non vi ho detto se sono giovani o anziani, se sono due uomini o due donne, se sono in riva al mare sulla sabbia o sul bagnasciuga, se è giorno o notte, che tempo c’è. E il pacchetto com’è? Quanto è grande? Io non vi ho detto niente, ma voi la scena l’avete vista e quindi siete voi a fare tutto”.
“Scrivere è un lavoro, a differenza di quello che molti pensano”
La scrittrice italiana domanda com’è la giornata tipo di Dicker. Risponde lo scrittore: “La scrittura è associata a un grande divertimento. Tutti pensano che sia una cosa molto facile. Insomma si buttano giù qualche frase e qualche parola e non è effettivamente un lavoro. Ma le cose non stanno così. Io, ad esempio, non scrivo mai da casa. Ho uno studio e lavoro da lì. Perché, se io lavorassi da casa, considerando che ho una moglie e dei figli, questi non prenderebero assolutamente sul serio il mio lavoro. Per cui, magari, mentre sto scrivendo, arriva mia moglie e dice: ‘Ah scusa, ho messo su una lavatrice. Se non ti spiace, quando finisce, magari stendi il bucato’. E io dico: ‘Ma io sto lavorando’. Se io tenessi la contabilità per una grande azienda, sono sicuro che mia moglie direbbe ai bambini: ‘Zitti, papà sta lavorando’. Comunque, io mi sveglio prestissimo: alle quattro di mattina. Scrivo tranquillamente fino alle 7-8 del mattino. Poi i bambini si svegliano e facciamo colazione insieme. Mi preparo e vado in studio dove scrivo fino a circa mezzogiorno. Il pomeriggio cerco di lasciarlo libero per le interviste o per gli appuntamenti. Ho anche una casa editrice che pubblica, fra le altre cose, anche i miei libri in francese. Quando racconto questa cosa mi dicono: ‘Vabbè, se stacchi a mezzogiorno, vuol dire che fa un part time'”.
“L’Italia fa parte del mio Dna”
La Gazzola gli ha poi chiesto qual è il suo rapporto con l’Italia, considerando che sua nonna è nata a Trieste e una sua bisnonna era originaria di Bologna e Dicker ha detto: “L’Italia fa parte del mio Dna. Quindi per me è normale inserire nei miei romanzi tanti elementi italiani. C’è una sensazione di forte prossimità che avverto nei confronti di questo paese. Soprattutto grazie alle mie nonne, in particolare in particolare a quella nata a Trieste. Quando vengo qui ho veramente l’impressione di essere a casa”.
“L’ispirazione? E’ come la Mentos con la Coca Cola”
Dicker ha poi parlato dell’ispirazione nella scrittura, utilizzando una metafora insolita. Dice: “E’ difficile parlare dell’ispirazione. Non è solo quello che amiamo che ci ispira, ma, soprattutto, quello che non amiamo. Non è facile spiegare perché un piatto ti piace, ma è molto più facile spiegare perché uno non ti piace. L’ispirazione, poi, è fatta da una quantità di cose che girano nella nostra testa e che non sempre riusciamo a mettere a fuoco. Per me è un po’ come l’esperimento della Mentos con la Coca Cola. La Coca Cola è questo accumulo di cose in cui si mescola tutto quello che amiamo e non amiamo, esperienze positive e negative, mentre la Mentos fa scatenare la reazione chimica esplosiva che fa scaturire l’ispirazione”.
“Sono ossessionato dalle cose che non mi sono riuscite”
Infine la Gazzola gli ha chiesto qual è il libro di cui si sente più fiero. Dice Dicker: “Io sono ossessionato dalle cose che non mi sono riuscite. Quindi quando finisco un libro c’è sempre qualcosa che mi rendo conto di avere lasciato fuori o che non sono riuscito ad approfondire. Questo diventa lo spunto per il libro seguente. E così via”. Lascia quindi intendere che non ci sarà mai un suo libro preferito.