Il Tribunale di Bologna rinvia il decreto sui migranti alla Corte Ue
I giudici chiedono quale sia il parametro su cui individuare i cosiddetti Paesi sicuri e se il principio del primato europeo imponga la prevalenza delle norme comunitarie: “Con questi criteri anche la Germania nazista sarebbe stata Paese sicuro”
BOLOGNA (Reggio Emilia) – Il Tribunale di Bologna ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il compito di valutare la legittimità del decreto italiano sui Paesi sicuri, sottolineando i potenziali conflitti con il diritto europeo in materia di protezione internazionale. La questione è sorta a seguito del ricorso di un richiedente asilo del Bangladesh, la cui domanda di protezione internazionale è stata respinta dalla Commissione territoriale proprio perché proveniente da un Paese ritenuto “sicuro”.
I giudici bolognesi hanno richiesto alla Corte di Giustizia dell’UE un chiarimento su due questioni principali.
Criterio di sicurezza per i Paesi d’origine
Secondo la normativa europea, un Paese può essere considerato “sicuro” in assenza di persecuzioni sistematiche o di rischio concreto di danno grave per determinati gruppi sociali? Il Tribunale suggerisce che la definizione di “Paese sicuro” dovrebbe tener conto della tutela specifica delle minoranze a rischio di persecuzione.
Primato del diritto europeo
Se sussiste un contrasto tra le norme europee e la legislazione nazionale italiana riguardo alla designazione di un Paese come sicuro, il principio del primato del diritto comunitario richiede che i giudici nazionali applichino le norme europee, disapplicando quelle italiane?
Nel rinvio alla Corte, il Tribunale di Bologna ha evidenziato come i sistemi di protezione internazionale siano pensati per garantire la sicurezza delle minoranze vulnerabili, anche quando il Paese di origine può essere considerato sicuro per la maggioranza della popolazione. Facendo esempi storici come la Germania nazista e l’Italia fascista, i giudici hanno osservato che tali regimi potevano essere sicuri per la maggioranza, ma non per specifiche minoranze perseguitate, come ebrei, omosessuali, oppositori politici, e rom.