
Processo Grimilde, depositate le motivazioni della sentenza di secondo grado
REGGIO EMILIA – Aveva colto nel segno il pubblico ministero della Dda di Bologna Beatrice Ronchi quando a novembre del 2022, nella requisitoria del processo “Grimilde” sugli affari delle cosche calabresi a Brescello definì, Francesco Grande Aracri “il simbolo concretizzato della ‘ndrangheta in Emilia”.
Le motivazioni della sentenza d’Appello, depositate in questi giorni, attribuiscono infatti al fratello maggiore del boss Nicolino il ruolo di un vero e proprio capo, e non di semplice semplice membro della consorteria criminale che aveva la base nel paese di Peppone e Don Camillo (sciolto nel 2016 per infiltrazioni mafiose).
In particolare i giudici definiscono il boss “uno ndranghetista moderno, teso a operare con modalità più morbide, sofisticate e insidiose come la falsa fatturazione”, e che era “cauto e prudente nelle frequentazioni, attento a non sovraesporsi”. Dallo “status” di figura egemone del clan, deriva poi anche l’aumento di pena arrivato a luglio dell’anno scorso, quando i giudici della Corte d’Appello di Bologna hanno inflitto al 71enne una condanna a 24 mesi di reclusione, contro i 19 anni e 6 mesi che l’imputato aveva rimediato in primo grado.
Nelle motivazioni è citato anche l’ex sindaco di Brescello Marcello Coffrini, definito “vicino” ai Grande Aracri come il padre Ermes. Porpio Coffrini junior, insieme ad un altro ex primo cittadino brescellese, Giuseppe Vezzani, è accusato con altri 10 indagati di avere aiutato il clan a fare affari, radicarsi ed espandersi. Il procedimento è in fase di udienza preliminare: il Gup deve decidere se rinviare a giudizio o prosciogliere gli ex amministratori.