Cronaca |
Cronaca
/

Franceschini, il brigatista reggiano rinnegato dai suoi compagni

27 aprile 2025 | 12:18
Share0
Franceschini, il brigatista reggiano rinnegato dai suoi compagni
Alberto Franceschini

La sua morte riapre un capitolo doloroso della storia della nostra città e sanguinoso per quella italiana. Ma lascia anche tanti interrogativi irrisolti su una rilettura di quegli anni che, spesso, lo ha messo in acceso contrasto con altri ex brigatisti

REGGIO EMILIA – I martiri del Luglio ’60, la Resistenza tradita, l’esperienza dell’Appartamento e la scelta della lotta armata nel 1970 a Costaferrata. La morte di uno dei fondatori delle Br, il reggiano Alberto Franceschini, riapre un capitolo doloroso della storia della nostra città e sanguinoso per la storia italiana. Ma lascia anche tanti interrogativi irrisolti su una rilettura di quegli anni che, spesso, lo ha messo in acceso contrasto con i suoi ex compagni.

I martiri del Luglio ’60
Come ricorda lo stesso Franceschini, allora giovanissimo, nel libro di Giovanni Fasanella “Che cosa sono le Br”, i fatti del luglio ’60 (in cui, durante una manifestazione sindacale in centro a Reggio Emilia, le forze dell’ordine spararano sulla folla uccidendo 5 persone) lasciarono un segno profondo nel partito comunista reggiano di cui l’ex brigatista faceva parte dato che, da giovanissimo, era membro del direttivo della Fgci locale. Ricorda: “Si aprì un dibattito che sarebbe durato almeno un decennio e che avrebbe portato molti di noi alla scelta estrema della lotta rmata. C’era una parte consistente della base comunista che non credeva nella via democratica e pacifica al socialismo”.

La Resistenza tradita
E poi, ovviamente, il mito della “Resistenza tradita”, ovvero l’amarezza di quei partigiani comunisti che avevano dovuto deporre le armi, dopo la fine della guerra, e non avevano potuto fare la rivoluzione e trasformare l’Italia in un paese comunista. Una componente che negli anni ’60 non era maggioritaria nel Pci, ma che era comunque consistente e rappresentata dall’ala secchiana.

Sempre in “Che cosa sono le Br” Franceschini ricorda: “Ascoltavamo i discorsi degli ex partigiani e, seguendo le loro indicazioni, andavamo alla ricerca dei depositi di armi nascosti sulle montagne. Ripercorrere i vecchi sentieri partigiani era uno dei nostri riti: salivamo su vestiti militarmente, con camicie che compravamo nelle bancarelle. Erano gli stessi ex partigiani che ci dicevano di andare a cercare le armi, perché volevano che le prendessimo noi. Eravamo nel 1968-69. L’idea che avevamo, chiara e precisa, era che dovevamo costruire una struttura armata”.

L’Appartamento
Poi c’è l’esperienza dell’Appartamento. Franceschini e Prospero Gallinari (altro ex Br reggiano scomparso 12 anni e fa e condannato all’ergastolo, fra i rapitori e carcerieri di Aldo Moro, ndr) se ne andarono, insieme ad altri, dalla Fgci per andare a riunirsi in quel luogo in via Emilia San Pietro 25. Era il settembre del 1969. L’Appartamento fu una sorta di incubatrice delle Br, dato che alcuni dei partecipanti alle riunioni in quel luogo li ritroveremo poi nelle cronache degli anni seguenti come protagonisti del movimento che insanguinò l’Italia. Ma era anche un luogo, va detto, di discussione politica molto interessante dove si riunivano giovani di varie estrazioni politiche che non si riconoscevano nella linea ufficiale dei loro partiti di riferimento. Molti di loro non andarono in clandestinità e non scelsero la lotta armata.

Era una sorta di centro sociale odierno. Ha raccontato Franceschini nel libro l’Appartamento scritto dal redattore di questo articolo: “Era una specie di comune in cui potevi anche vivere. Alcuni, infatti, ci dormivano e ci abitavano. Stava all’ultimo piano di una soffitta. Era un luogo molto aperto, in cui vivevano una decina di persone. C’era una biblioteca e una grande sala dove si allestivano iniziative. Invitavamo Renato Curcio (altro fondatore delle Br), Adriano Sofri e tutti quelli che nel 1968-69 facevano parte dei nuovi movimenti. A questi incontri chiamavamo tutti i gruppi che stavano alla sinistra del Pci”.

Costaferrata

Immagine tratta dal documentario “Il sol dell’avvenire” di Gianfranco Pannone. Ex brigatisti e conoscenti dell’epoca a tavola da Gianni a Costaferrata dove nacquero le Br. Da sinistra Alberto Franeschini, Roberto Ognibene, Loris Tonino Paroli e, non appartenenti alle Br, Annibale Viappiani e Paolo Rozzi

Continua Franceschini: “Avevamo contatti con la sinistra extraparlamentare: Potere Operaio, Lotta Continua, Avanguardia operaia. Arrivavano Magri, la Castellina, Sofri. Veniva chi voleva. Anche gli iscritti al Pci. Il nostro programma era di far sapere che a Reggio esisteva una sinistra che si poneva a sinistra del Pci e che si stava organizzando”. E la lotta armata? Risponde Franceschini ne L’Appartamento: “In quegli anni, di lotta armata, ne parlavano tutti. Certo che ne discutevamo. La parola d’ordine che unificava tutto questo movimento che stava a sinistra del Pci era “lo Stato si abbatte e non si cambia”.

Costaferrata e la scelta della lotta armata
Poi ci fu Costaferrata e la scelta della lotta armata. Chi ha visto la genesi del più pericoloso gruppo eversivo che la storia italiana ricordi, è Gianni, il ristoratore dell’omonimo locale “Da Gianni” a Costaferrata, una frazione a dieci chilometri di distanza da Pecorile. In questa trattoria di montagna, meta di famigliole che oggi riuniscono per il pranzo della domenica, nacquero le Brigate rosse. Il posto venne scelto perché ci lavorava la moglie di Gianni, cugina di Loris Tonino Paroli, altro ex brigatista reggiano frequentatore dell’Appartamento che si è fatto 16 anni, come del resto Franceschini e Curcio, per costituzione di banda armata.

Ricorda Franceschini ne “L’Appartamento”: “Il convegno durò tre giorni e vi parteciparono un centinaio di persone. Erano presenti tutte le avanguardie delle varie realtà di lotta: Milano, Torino, Reggio, Lodi, Novara. C’erano i rappresentanti di chi aveva fatto le lotte operaie e studentesche. Lì si sarebbe deciso se era il caso di abbandonare il terreno della legalità e di pensare a un’organizzazione illegale e clandestina per attaccare lo Stato. Una parte delle persone che erano lì se ne andò, ma i due terzi dei presenti decisero di fare questa scelta rivoluzionaria. Dei reggiani mi ricordo che, oltre a me, c’erano Paroli, Pelli e Ognibene, più altri dieci o quindici compagni. C’erano anche Renato Curcio e Margherita Cagol”.

La clandestinità e l’arresto a Pinerolo
Dopo Costaferrata inizia il periodo della clandestinità e della lotta armata. Franceschini, Gallinari, Paroli e compagni si allontanano dalla loro città natale e diventeranno tristemente famosi per le loro gesta. Nel settembre del 1974 Franceschini viene arrestato a Pinerolo assieme a Renato Curcio. Viene condannato a oltre sessant’anni di carcere per duplice omicidio, costituzione di banda armata, costituzione di associazione sovversiva, sequestro di persona, oltraggio a pubblico ufficiale e rivolta carceraria, ma la sua pena verrà poi ridotta.

Il leader reggiano delle Br, che non si macchiò mai direttamente per fatti di sangue, fu uno degli organizzatori del sequestro del giudice genovese Mario Sossi. Ha subito diverse condanne, tra le quali quella per ‘concorso anomalo’ nell’omicidio di due esponenti del Movimento Sociale Italiano, Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola, a Padova il 17 giugno 1974 nella sede del Msi in via Zabarella a Padova. Per quel duplice omicidio, definito “cinico e crudele”, Franceschini fu condannato a 18 anni di reclusione.

Nel 1982, dopo aver in precedenza rivendicato dal carcere anche il delitto Moro, si dissocia infine dalla lotta armata. Pur non rinnegando la sua militanza, negli anni seguenti prenderà completamente le distanze dalla violenza politica, esprimendo un pentimento che verrà giudicato “sincero”.

Alberto Franceschini

Nel 1987 gli vengono concessi i primi permessi premio e poi gli arresti domiciliari. Lascia il carcere definitivamente nel 1992, quando la sua pena è estinta (grazie agli sconti derivati dai benefici di legge) dopo 18 anni di reclusione. Poi il lavoro a Roma all’Arci, come dirigente di una cooperativa sociale che si occupa di lavoro e aiuto nei confronti di immigrati, disoccupati, minori a rischio, detenuti e tossicodipendenti.

Il tradimento
Ma Franceschini dopo l’uscita dal carcere fa qualcosa che non gli verrà mai perdonato dai suoi ex compagni d’avventura, in primis Moretti e Gallinari. Dà il via, in libri e interviste, a una rilettura del fenomeno brigatista in cui parla di una zona grigia di rapporti con apparati deviati, contro la vulgata comune della genuinità dell’esperienza brigatista.

Addirittura accusa Mario Moretti, l’unico ancora detenuto del nucleo storico, di avere fatto arrestare lui e Curcio. Nel suo libro “Mara, Renato ed io” lancia accuse tremende sul sequestro Moro: accusando Moretti e gli altri della direzione di avere deciso da soli l’esecuzione dell’ostaggio. Sposa così tesi dietrologiche di Sergio Flamigni e della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro. Da quel momento, per gli ex compagni è un bugiardo e un nemico. Infatti non parteciperà ai funerali di Gallinari.

Gli ultimi anni
Poi la pensione e gli ultimi anni vissuti a Milano. Nel febbraio dello scorso anno la polizia lo aveva fermato e identificato nel capoluogo milanese insieme ad alcuni partecipanti a un corteo autorizzato a favore della causa palestinese. Soffriva, a quanto sembra, di una forma molto aggressiva di demenza senile. Poi la morte l’11 aprile scorso che è stata resa nota solo ieri, subito dopo la festa del 25 Aprile, proprio quella che celebra la Liberazione e la Resistenza, quella che, per Franceschini e compagni, era stata considerata “tradita”.