Lo spettacolo mette in scena l’indicibile tragedia contemporanea degli sbarchi sulle coste del Mediterraneo: mercoledì 3 e giovedì 4 aprile, alle 20.30, al Teatro Cavallerizza
REGGIO EMILIA – Un racconto urgente, profondo, attuale quello di Davide Enia in L’abisso, che andrà in scena mercoledì 3 e giovedì 4 aprile, alle 20.30, al Teatro Cavallerizza. Tratto da Appunti per un naufragio, scritto dallo stesso Davide Enia, lo spettacolo mette in scena l’indicibile tragedia contemporanea degli sbarchi sulle coste del Mediterraneo. Epopea di eroi odierni, tra vita e morte, che diventa metafora di un naufragio individuale e collettivo.
Spiega Enia: “Il primo sbarco l’ho visto a Lampedusa assieme a mio padre. Approdarono al molo in tantissimi, ragazzi e bambine, per lo più. Io ero senza parole. Era la Storia quella che ci era accaduta davanti. La Storia che si studia nei libri e che riempie le pellicole dei film e dei documentari. Ho trascorso molto tempo sull’isola per provare a costruire un dialogo con i testimoni diretti: i pescatori e il personale della Guardia Costiera, i residenti e i medici, i volontari e i sommozzatori. Rispetto al materiale che avevo precedentemente studiato, in quello che stavo reperendo di persona c’era una netta differenza: durante i nostri incontri si parlava in dialetto. Si nominavano i sentimenti e le angosce, le speranze e i traumi secondo la lingua della culla, usandone suoni e simboli. In più, ero in grado di comprendere i silenzi tra le sillabe, il vuoto improvviso che frantumava la frase consegnando il senso a una oltranza indicibile. In questa assenza di parole, in fondo, ci sono cresciuto. Nel Sud, lo sguardo e il gesto sono narrativi e, in Sicilia, «‘a megghiu parola è chìdda ca ‘un si dice», la miglior parola è quella che non si pronuncia”.
Aggiunge il regista:2La messa in scena fonde diversi registri e linguaggi teatrali, gli antichi canti dei pescatori, intonati lungo le rotte tra Sicilia e Africa, e il canto palermitano, sulle melodie a più voci che si intrecciano senza sosta fino a diventare preghiere cariche di rabbia quando il mare ruggisce e nelle reti, assieme al pescato, si ritrovano i cadaveri di uomini, donne, “piccirìddi””.
“Quanto sta accadendo a Lampedusa – conclude Enia – non è soltanto il punto di incontro tra geografie e culture differenti. È per davvero un ponte tra periodi storici diversi, il mondo come l’abbiamo conosciuto fino a oggi e quello che potrà essere domani. Sta già cambiando tutto. E sta cambiando da più di un quarto di secolo”.